Tra vent’anni sarete più delusi per le cose che non avete fatto che per quelle che avete fatto. Quindi mollate le cime. Allontanatevi dal porto sicuro. Esplorate. Sognate. Scoprite. (Mark Twain)

 
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Lucera
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L'Anfiteatro romano di Lucera è fra i più antichi dell'Italia meridionale. Fu costruito in onore dell'Imperatore Cesare Augusto e della colonia di Lucera. 
Si crede che questo sia il primo esempio conosciuto di un anfiteatro eretto in onore dell'Imperatore Augusto. 
Le stesse dimensioni dell'anfiteatro sono un indice della prosperità economica e del ragguardevole sviluppo democratico della nobilissima capitale dalla Daunia allora raggiunti sotto gli auspici del fondatore dell'Impero, che volle generosamente ripagarla della fede serbata alla metropoli uguagliandola in tutti i diritti a questa, insieme con le altre 27 città, beneficiandola con larghe liberalità, onorandola, forse, della sua presenza e non una volta soltanto; 
Gli scavi furono iniziati nel 1932 dal prof. Quintino Quagliati e proseguiti dal prof. Renato Bartoccini. L’anfiteatro sorge su una depressione naturale del terreno, é di forma ellittica, l’arena é lunga m 75,20 circa e larga m 43,20 circa, ad un livello inferiore di m 9 al terreno circostante,
all’esterno é lunga m 131,20 circa e larga m 99,20 circa, e la sua capienza é stata stimata tra i 16000 e i 18000 spettatori. Concepito come un vasto luogo di svago, fu dapprima adibito alle lotte di gladiatori, a spettacoli ginnici e alle fiere ed esecuzioni capitali, successivamente decadde con il trionfo del cristianesimo e l’abolizione degli spettacoli cruenti. 
Sulle due scalinate principali son ben riconoscibili tratti di muro costruito in opera reticolata. Nello stesso edificio e nelle sue adiacenze troviamo frammenti di colonne, di elementi architettonici, di capitelli, di epigrafi.
L’arena é ben delimitata da un canale di displuvio e accoglie il complesso dei carceres che servivano per la raccolta delle fiere. Ben conservate alcune stanze costruite anch’esse con la tecnica del reticolato, comunemente intese come spoliaria, luogo di preparazione per gli atleti ed i gladiatori, adiacenti alle porte principali d’ingresso. Il resto della cavea, che doveva in origine essere diviso in vari ordini di gradinate, é attualmente completamente spoglio e sono visibili solo le altre gradinate di accesso agli spettatori. 
Di estremo interesse sono i due portali ricostruiti. Essi si compongono di un architrave, che sostiene un timpano ricco di fregi architettonici, floreali e simboli di guerrieri.
L’architrave é retto da due colonne di stile ionico, ben modellate. Sull’architrave é incisa in eleganti caratteri l’epigrafe dedicatoria.
Vi é dunque menzionato il munifico donatore del monumento, Marco Vecilio Campo, che era membro di una nota famiglia lucerina, PRAEFECTUS FABRUM, tribuno dei soldati, IIVIR, supremo magistrato della colonia, insignito della funzione di PONTIFEX, che su terreno di sua proprietà e con proprio denaro costruì un anfiteatro dedicandolo ad Augusto insieme alla colonia di Lucera.

 

 

La Fortezza Svevo-Angioina

Sul colle più alto di Lucera, in posizione strategica nel controllo del territorio circostante, si erge imponente la FORTEZZA SVEVO-ANGIOINA.
Tra il 1235 ed il 1240 Federico II di Svevia fece erigere il suo Palatium, di cui oggi resta solo il basamento, comunemente chiamato Cavalleria che documenta il carattere difensivo della costruzione.
Prediletto dall’Imperatore, che forse intendeva farne una sorta di museo, ospitava nelle sue camere il tesoro della corona, statue, opere d’arte, l’archivio e l’harem.
Morto Federico II, Carlo I d’Angiò vi fece costruire circa vent’anni dopo una poderosa muraglia di circa 900 m, scandita da ventiquattro torri, dove si aprono le porte di Castelfiorentino, Guardiola, Troia e Lucera, e resa inaccessibile da un profondo fossato. Agli estremi del lato che si rivolge alla città si elevano le torri dette del Leone e della Leonessa.
La prima, semplice nella struttura, la seconda più grande e poderosa, merlata e bugnata nella parte inferiore. All’interno delle mura vi erano il Palazzo Reale, gli edifici della corte, una cappella, abitazioni, officine, condotte idriche, cisterne e pozzi.

 

La Cattedrale

Carlo II d’Angiò dopo aver cambiato il nome di Lucera in Città di Santa Maria, dove una volta sorgeva la moschea araba fece costruire la CATTEDRALE dedicata all’Assunta. Essa fu consacrata nel 1302 ma la realizzazione fu portata a termine nel 1307.
Attribuita da diversi studiosi a Pierre d’Angicourt o a Bartolomeo da Foggia o a tale Masuccio, ingegnere napoletano.
Sull’armoniosa facciata si aprono tre porte, su quella di destra si erge il campanile a tre ordini di piani con monofore e bifore. Sul maestoso portale maggiore si apre un grande finestrone con il rosone.
La pianta é a croce latina con tre navate divise da pilastri in travertino.
Nel 1406 da Castelfiorentino furono trasportate due lastre in pietra che costituivano la mensa di Federico II, di cui una, montata su sei colonnine ottagonali con bellissimi capitelli con fogliame ed aquile, divenne l’altare maggiore.
Incantevoli sono pure le quattordici colonne di marmo caristio, già appartenenti ad un tempio romano, il Cristo ligneo del ‘400, il pulpito cinquecentesco, il battistero e l’organo. Fu dichiarata monumento nazionale nel 1878.

 

San Francesco Antonio Fasani

Nel 1301 Carlo II d'Angiò donò, autorizzato da papa Bonifacio VIII con un'apposita bolla, alcune case ai Frati Minori Francescani perchè vi costruissero un convento. Fu ristrutturato ad opera di SAN FRANCESCO ANTONIO FASANI con aggiunte barocche. La facciata, maestosa e semplice, presenta un bel portale a baldacchino ed un rosone aggiunto nella prima ricostruzione.
Nell'interno notevole è l'abside poligonale con contrafforti sporgenti ed alte monofore, che si trovano anche sui muri laterali. Nell'abside molto interessanti sono gli affreschi del XIV, XV e XVI secolo ed un'Annunciazione del 1400 inquadrata in una bifora ogivale con il timpano quadrilobato.
Alle pareti altari barocchi con statue lignee. Sotto l'altare maggiore vi è il sepolcro di San Francesco Antonio Fasani, il Padre Maestro, santo lucerino molto amato.
Nacque a Lucera il 6 agosto 1681, da umili e modesti lavoratori, Giuseppe e Isabella Della Monaca. Battezzato con i nomi di Donato Antonio Giovanni, fu chiamato familiarmente Giovanniello. Orfano del padre in tenera età, a 15 anni fu accolto nell’Ordine dei Frati Minori Conventuali del convento di Lucera. 
Compiuto il noviziato a Monte S. Angelo sul Gargano, nel 1703 fu mandato a completare la sua formazione nel sacro convento di Assisi, e fu ordinato sacerdote l'll settembre 1705. 
Conseguiti con lode i gradi accademici, nel 1707 fu destinato professore di filosofia nel convento di San Francesco in Lucera, ricoprendovi successivamente gli uffici di Superiore di quel convento, Maestro dei novizi e dei chierici professi e Ministro Provinciale della religiosa Provincia Pugliese di San Michele Arcangelo, per cui, in seguito, sarà da tutti chiamato a Lucera "Padre Maestro". 
Visse in mezzo al suo popolo per 35 anni, percorse le città e i paesi della Puglia settentrionale e del Molise predicando ovunque la parola di Dio. Suo principale proposito nel predicare era quello di "farsi capire da tutti", come nella sua modestia era solito dire, e la sua catechesi, tipicamente francescana, era rivolta all'umile popolo verso cui si sentiva particolarmente attratto. Inesauribile fu la sua carità verso i poveri e sofferenti; fra le varie iniziative, promosse l’usanza di raccogliere e distribuire pacchi-dono ai poveri in occasione del Natale. Ma la sua attenzione e la sua carità sacerdotale emersero nell'assistenza ai carcerati e ai condannati. 
Fece restaurare decorosamente il bel tempio di S. Francesco in Lucera. 
Morì a Lucera il 29 novembre 1742, il primo giorno della novena dell'immacolata. Fu beatificato da Pio XII il 15 aprile 1951. Sua Santità Giovanni Paolo II lo proclama Santo il 13 aprile 1986.
La sua memoria liturgica viene celebrata il 29 novembre, anniversario della morte. I suoi resti, ricoperti di cera, sono venerati, in un'urna di cristallo e bronzo, sotto l'altare maggiore della chiesa.

 

Il Museo Civico "G. Fiorelli"

Il MUSEO CIVICO "G. FIORELLI" fu costituito nel 1905 e dal 1936 è ospitato nelle sale del palazzo settecentesco De Nicastri-Cavalli. Da ammirare il vasto mosaico pavimentale del I secolo, la stipe votiva del SS. Salvatore, un gruppo di sculture romane; bellissimo il busto di Proserpina, e notevoli la pinacoteca ed il salotto Cavalli del XVIII secolo.

 

Ex Convento e chiesa del S.S. Salvatore

Il convento del SS. Salvatore (detto anche di San Pasquale per fatto che si venera nella chiesa, san Pasquale Baylon, protettore di Lucera dal 1722) fu fondato nel 1407 dai frati Osservanti per volere di P. Giovanni Vici da Stroncone.
La struttura sorge fuori le mura della città e lungo la via per S. Severo, ad Occidente del Colle Belvedere. L’intero complesso fu edificato su un antico Tempio, probabilmente di Minerva. Nel 1625 i frati Riformati lottarono con violenza e prepotenza per quindici giorni fino a scacciare definitivamente gli Osservanti. I Riformati fecero del convento un centro di studi di teologia; avevano un’ottima biblioteca, tra le migliori della Capitanata, la quale nella soppressione del 1811 passò al collegio reale di Lucera.
Nello stesso anno per ordine di Gioacchino Murat, il convento, dotato di trentuno stanze al piano superiore e di un chiostro dalle imponenti arcate in pietra con cisterna ed ampio giardino, fu soggetto alle Leggi della soppressione, per cui i Riformati furono mandati via. Riaperto nel 1816, fu chiuso definitivamente nel 1863. Divenne in seguito rifugio dei soldati tedeschi e francesi durante la seconda guerra mondiale e, al termine del conflitto, fu adibito a lazzaretto e a dimora dei tanti civili che ormai avevano perso tutto, persino un tetto.
L’Istituzione Culturale di Lucera venne fondata nel marzo 1817, grazie al marchese Gaetano De Nicastri, che volle crearne il primo nucleo costituito da 5000 volumi provenienti dalla sua collezione. Il fondo De Nicastri fu accresciuto con altre donazioni. Attualmente il fondo librario,  che conta circa 100 mila volumi, ha preminente carattere storico-letterario, a cui si unisce un vasto patrimonio di opere giuridiche, politiche, scientifiche e tecniche.

Alcune sale dell’ex Convento SS. Salvatore ospitano uno spazio espositivo permanente che accoglie la sezione locale della Pinacoteca Comunale, con le opere di 3 artisti lucerini (Giuseppe Ar, Emanuele Cavalli, Umberto Onorato), e la sezione con le collezioni dell’Ottocento e del Primo Novecento le opere esposte sono state realizzate soprattutto a partire dal 1820 da artisti appartenenti alla Scuola di Posillipo, che abbandona ogni residuo tardo-barocco o caravaggesco e si rifà alla pittura di paesaggio di tradizione pittoresca, puntando soprattutto sui valori lirici e caricando i paesaggi di umori romantici. Fondatore della Scuola è il vedutista olandese Anton Sminck Van Pitloo, il quale introduce per primo a Napoli la tecnica della pittura “en plein air”, dipingendo in splendidi olii ricchi di luce e di effetti cromatici i paesaggi più classici della città partenopea.

La Biblioteca “R. Bonghi” di Lucera conta un vasto patrimonio di volumi antichi (circa 20.000), che risalgono per lo più al XV e al XVI secolo e sono conservati nella Sala delle Cinquecentine, che prende il nome proprio dal periodo storico a cui essi in gran parte risalgono.
Al suo interno sono gelosamente custoditi 34 incunaboli, svariati manoscritti e 153 pergamene. Con il termine incunaboli vengono indicati tutti i documenti stampati con la tecnica dei caratteri mobili e realizzati tra la metà del XV secolo e l’anno 1500.
Il volume antico di maggior pregio è rappresentato dalla Bibbia di Niccolò Malermi, una rara versione volgarizzata della Sacra Bibbia. Questa Bibbia è stata stampata nel 1477 a Venezia da Antonio Bolognese e reca una splendida miniatura a colori vivaci ed oro zecchino, raffigurante l’episodio biblico della creazione di Eva, tratto dal libro della Genesi. Di questa Bibbia è attestata l’esistenza di solo quattro copie, conservate a Bologna, Roma, Parma e Lucera.
Il fondo manoscritto comprende una vastità e varietà di opere di carattere scientifico, filosofico e letterario, opere di medicina e di astronomia, manoscritti politici, nonché opere di storia locale, indispensabili per comprendere la storia di Lucera e della Capitanata.
Testimonianze di particolare valore e rilievo sono: il “Libro dei Privilegi o Libro Rosso o Libro Magno della Città di Lucera” (si tratta di un manoscritto membranaceo, comprensivo di aggiunte cartacee, che conserva la copia autentica di ben 70 documenti regi riguardanti la storia lucerina dal 1301 al 1547. All’interno di questo volume sono presenti, oltre alle magnifiche miniature iniziali, anche 3 ritratti di sovrani angioini); “Breve descrittione della città di Lucera”, composta da Rocco Del Preite nel XVII sec.; Diploma intestato a Carlo V, con cui Lucera veniva dichiarata Città di Regio Demanio (documento datato 09.06.1522); “Storia di Lucera” di Del Pozzo; Deliberazioni decurionali (a partire dall’anno 1497); autografi di uomini illustri (poeti, scrittori, musicisti…); volumi relativi alla ripartizione dell’antico terraggio lucerino.
Per quanto concerne le pergamene, invece, se ne contano 153 esemplari e sono state per la maggior parte trascritte e pubblicate nel 1994 dal paleografo prof. Armando Petrucci nella sua opera “I più antichi documenti originali del Comune di Lucera (1232-1496). Tra esse spiccano in prevalenza i documenti regi di età angioina e aragonese.
Ai prestigiosi incunaboli, infine, si affiancano gli 855 esemplari del Cinquecento, tutti egualmente rari e preziosi. Molte le edizioni Giuntine (55) ed Aladine (23), di diversa provenienza: De Nicastri, Bonghi, Nocelli, P.P. Cappuccini, Minori Osservanti. Tra le numerose opere del XVI secolo spiccano infine un’opera di Nicolò Tartaglia: trattasi del “General trattato dei Numeri e Misure”, testo edito da Curio a Venezia nel 1550; la “Descrizione di tutta l’Italia del 1551” di Leandro Alberti.

E’ sede del Polo Museale dei mosaici paleocristiani di San Giusto.
Tra il 1995 e il 1999 si è svolto in località SAN GIUSTO uno scavo di emergenza all'interno della diga sul torrente Celone.
E' stato scoperto casualmente un sito archeologico quando i lavori della diga erano in fase di ultimazione. L'area archeologica è ampia circa 12.000 mq; le ricerche archeologiche hanno riguardato una superficie di circa 5 mq e hanno portato alla luce un importante insediamento rurale di età romana e tardoantica. 
Il primo insediamento risale al I secolo a. C. ed è relativo ad una fattoria di coloni, la cui presenza è testimoniata da una stele funeraria menzionante alcuni componenti della famiglia degli Annii, proprietari del fondo. Tra I e II secolo d. C. alla fattoria si sostituì una grande villa, dotata di ambienti residenziali con pregevoli mosaici, di notevoli impianti per la produzione del vino e di strutture per la produzione artigianale. La villa ebbe un considerevole sviluppo in età tardoantica, tra IV e VI secolo. 
Intorno alla metà del V secolo fu costruito il primo nucleo di un complesso paleocristiano, costituito da una chiesa a tre navate, con mosaici policromi a decorazione geometrica, colonne di granito, capitelli e rivestimenti di marmo, e da un battistero a pianta centrale. Tra la fine del V e gli inizi del VI secolo, accanto alla prima chiesa fu realizzato un secondo edificio sacro, che ebbe una specifica funzione cimiteriale. Il complesso paleocristiano fu dotato anche di un piccolo impianto termale e di altri vani annessi. 
A San Giusto quindi si venne a creare una "basilica doppia", cioè un tipo di edificio culturale finora unico in Puglia. La basilica doppia non durò a lungo perchè nella seconda metà del VI secolo a causa di un incendio la prima chiesa, non più ricostruita, fu abbandonata; la seconda chiesa pertanto assommò alle funzioni cimiteriali anche quelle culturali. La vita dell'edificio di culto proseguì, anche se con un declino progressivo, fino all'abbandono, che riguardò tutto l'insediamento, nel corso del VII-VIII secolo.

 

Il Teatro “Garibaldi”

Il Teatro Garibaldi  è situato all’interno del Palazzo Mozzagrugno, sede centrale della Casa Comunale, in Corso Garibaldi.
Sorse nel 1837 su progetto dell’architetto Oberty. Originariamente intitolato a Maria Teresa Isabella di Borbone si chiamò “Real Teatro Maria Teresa Isabella”, venne successivamente dedicato a Garibaldi.
La sala è di forma semicircolare, con una platea di circa 100 posti, due ordini di palchi, uno di 10, l’altro di 11 posti ed una galleria fornita di due file di panche.
Stucchi e statue arricchirono gli interni, con una volta affrescata con tenue policromia di gusto neoclassico che raffigura scene di muse.
L’interno del teatro fu fastosamente decorato da artisti provenienti dalla Capitale del Regno e fu da tutti ritenuto un vero gioiello dell’architettura e della decorazione.
L’inaugurazione avvenne la sera del 7 giugno 1838 con una duplice rappresentazione: la “Lucia di Lammermoor” di Donizetti e poi “La Sonnambula” di Bellini.
Nel 1903 fu previsto l’ampliamento del Teatro con un progetto dell’ing. Angelo Messeni che si stava occupando della realizzazione del Teatro “Petruzzelli” di Bari. Il nostro teatro divenne il gemello in miniatura del “Petruzzelli”.
Inaugurato sotto questo profilo nel 1908 il teatro ebbe un periodo di grande fervore artistico cui seguì un totale abbandono durante le guerre. Utilizzato solo sporadicamente, fu chiuso definitivamente alla fine degli anni ’40.
Nel 1977 venne approvato il progetto di recupero dell’edificio. Il completamento definitivo dei lavori si è avuto a inizio 2005.
Il Teatro, splendidamente restaurato, è stato inaugurato nel marzo 2005; nel 2006 (gennaio-aprile) è stata organizzata la prima stagione di prosa dopo il definitivo recupero.




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